Per la rubrica Interviste Gentili facciamo quattro chiacchiere con Elena Travaini, ballerina professionista, insegnante di danza, formatrice, TEDx Speaker, ideatrice del progetto Blindly Dancing, colpita a soli 20 giorni dalla nascita da un raro tumore alla retina – il retinoblastoma bilaterale – che le ha causato la cecità, lasciando sul suo viso segni evidenti della malattia.
Foto di copertina © Cristian Palmieri – Donne fuori dall’ombra
Abbiamo chiesto a Elena Travaini di raccontarci la sua storia perché il suo trascorso e i suoi traguardi sono un condensato di emozioni diverse. Paura, rabbia, tristezza e amarezza l’hanno accompagnata durante gli anni dell’adolescenza, ma non hanno avuto la meglio. La sua grande rivincita è arrivata quando in lei si è fatta strada una nuova consapevolezza, quella che l’ha portata a vedere la sua diversità come unicità.
Ci siamo incontrate online, in una stanza virtuale e abbiamo chiacchierato a lungo, sviscerando temi a noi molto cari. Diversità, inclusione, cyberbullismo e violenza online, perché proprio lei è una delle tante vittime di quegli episodi di hate speech che ogni giorno si consumano in rete. Ad Elena abbiamo rivolto domande dirette e mirate, lasciando a lei la possibilità di addentrarsi o meno nei dettagli. Siamo partite dall’intento di capire chi fosse Elena, la persona, la ragazza di tutti i giorni che ha scelto di percorrere una strada non di certo in discesa.
Elena iniziamo subito con una domanda facile. Chi è Elena Travaini?
Mi piace dare un messaggio positivo: in primis sono la mamma di una pargoletta di 13 anni e questo è il lavoro che mi rende più orgogliosa. Sono una mamma giovane, le amiche di mia figlia mi adorano e saccheggiano il mio armadio. Poi sono una moglie e anche questo non è un lavoro da poco. Mio marito è anche il mio partner di ballo e proprio con lui è nato il progetto di sperimentazione della danza al buio “Blindly Dancing”. Siamo entrambi insegnanti diplomati ANMB (Associazione Nazionale Maestri di Ballo) e AIMB (Associazione Italiana Maestri di Ballo). Sono una ballerina professionista, insegnante di danza e ideatrice del metodo sperimentale di insegnamento di danza al buio. Proprio grazie a questo metodo di insegnamento sono diventata una formatrice e nel 2017 ho vinto il premio TOYP come eccellenza italiana nel campo della crescita personale. Nell’ultima fase della mia vita sono diventata anche una modella e una fotomodella, un’esperienza attraverso la quale l’utilizzo dell’immagine serve a veicolare un messaggio positivo. Nonostante il bullismo, nonostante gli insulti e nonostante i momenti “no” si può trovare il modo per andare avanti e credere in se stessi, superando le difficoltà che si presentano. In tal senso i miei progetti fotografici toccano diversi temi e abbracciano la diversità sotto molti punti di vista. Lavoro spesso con una make up artist professionista, Silvia, e il nostro obiettivo è quello di raccontare una bellezza reale, lontana da immagini artefatte dei quali i social sono davvero pieni. Ogni mattina, però, lavoro in clinica veterinaria come segreteria, un lavoro che mi piace tantissimo. Nel pomeriggio invece, sempre con Silvia, mi dedico ai laboratori per ragazzi con disabilità e fragilità.
Come nascono i tuoi progetti? E perché?
Sotto la corazza, ad esempio, è un progetto fotografico di nudo artistico che ho condiviso con Gioele, un ragazzo omosessuale, e che ha l’obiettivo di accendere una riflessione sul fenomeno dell’hate speech. Durante il lockdown ho partecipato a circa 60 interviste e ho attivato anche un salotto virtuale sulla mia pagina Instagram. Non sono mai mancati nei miei confronti gli insulti da parte degli haters. Spesso commentano i miei post e le mie foto, così come accade ed è accaduto a Gioele. Un giorno abbiamo deciso di stilare una lista di tutti gli insulti ricevuti e di tradurli in tutte le lingue del mondo, o quasi. Da lì il passo è stato breve ed è nato così questo progetto fotografico “work in progress”.
Il progetto di danza al buio Blindly Dancing invece, nasce da una sperimentazione e dalla mia situazione personale. La danza è stato il mezzo attraverso il quale mostrarmi agli altri per un talento e non essere vista sempre come la diversa. Ho sempre voluto coltivare la passione per la danza. Quando ho incontrato Antony abbiamo iniziato a studiare seriamente i balli di coppia. Venivamo entrambi da un percorso di studi nel mondo della danza iniziato a 6 anni, ma proprio durante il periodo agonistico sono nate delle difficoltà oggettive. Ad esempio la paura di andare a sbattere o che qualcuno potesse, di proposito, venirti addosso. Stavo andando in crisi e così Antony mi ha detto “devo capire, devo capire com’è ballare senza vedere” e ha deciso di mettere una benda sui suoi occhi. Da lì è nato tutto, si è creato un grande feeling, abbiamo imparato a gestire il corpo senza vedere, ma solo sentendolo.
Io sono nata con il retinoblastoma e mia madre si è accorta di questo che io avevo 20 giorni. Il mio è un caso rarissimo, sono stata tre anni in Olanda dove ho trovato un dottore che mi ha salvata. Avrei dovuto subire l’asportazione degli occhi, ma grazie alla chemioterapia e alla radioterapia sono riusciti a preservarli. Nonostante questo dal destro vedo meno di 1/30, dal sinistro non vedo per niente. Inoltre, le cure fatte non hanno permesso alla cartilagine intorno agli occhi di crescere. Nel 2014 è nato il progetto Blindly Dancing e nel 2016 abbiamo vinto il concorso Ballando on the road e abbiamo portato la nostra performance a Ballando con le Stelle. Nel 2018 siamo stati contattati da una business school di New York e abbiamo portato la danza la buio in America. Nel frattempo abbiamo portato il progetto sulle navi da crociera e nelle piazze delle città più belle d’Europa. Oltre 250.000 persone hanno sperimentato la danza al buio nel mondo, senza distinzione di razza, sesso, colore, nelle scuole, nelle aziende e in qualsiasi posto si possa fare tale sperimentazione.
Hai avuto esperienze di odio online/hate speech?
L’hate speech può essere molto lesivo se non si ha un carattere forte; tutti i miei progetti si collegano alla volontà di dimostrare come si può superare questo fenomeno. Se da una parte le persone hanno bisogno di un esempio come me, dall’altra io ho bisogno degli altri. Sono gli altri, senza averne consapevolezza, ad accompagnarmi nel mio percorso di crescita personale: ho creato un’immagine perché ero davvero stanca delle prese in giro. Questa stessa immagine mi porta a lottare per i miei sogni, i miei obiettivi, i traguardi futuri. Ho sempre avuto una famiglia che mi ha difesa, ma ogni giorno in cui metto il naso fuori casa incontro qualcuno che mi fa pesare la mia diversità. Da ragazzina mi pesava di più essere diversa; l’accettazione della femminilità è stata difficile. Ho vissuto la fase dell’adolescenza in apparenza con molta tranquillità, sono stata sempre leader anche se spesso non riuscivo a fare le cose che facevano tutte, come ad esempio truccarsi. A scuola ho sempre guidato le rivolte, piuttosto che seguire le maestre. Ho sempre cercato di creare un gruppo e di tenere le persone unite. Ovviamente a casa e davanti allo specchio il rapporto con me stessa era molto diverso; in alcuni casi non ci pensi, altre volte in compagnia di altre ragazze mi rendevo conto che ero diversa.
Qual è la cosa che ti ferisce di più?
La cosa che ferisce di più è l’ignoranza degli adulti. Una sera mentre ballavo con Anthony sono stata derisa proprio da persone adulte. Da allora ho iniziato a raccontare la mia storia sui social. Difficilmente rispondo all’odio con l’odio, il mio papà mi ha insegnato che chi ti attacca ha dei grandi problemi. I social sono pieni di gente stupida, ma questo non ne giustifica un ipotetico utilizzo scorretto. Ci sono giorni in cui mi sento più sicura di me stessa, altri in cui mi sento più fragile. La diversità convive con me, a volte ho paura di non farcela, mi vedo brutta, non vorrei alzarmi dal letto. Pormi grandi obiettivi è il motore che mi fa andare avanti, ma questo non lo faccio mai da sola. Oltre i progetti ho anche una vita e i problemi ordinari: una figlia, la scuola, la casa, l’ex marito, la famiglia dell’ex marito, il marito e così via. Mio marito è l’unica persona che mi capisce al volo perché quando sto male non parlo.
Qual è il consiglio gentile che vuoi lasciare?
Da soli si cammina, in due si vola. È importante non essere da soli. Se si sogna da soli è solo un sogno, se si sogna insieme è la realtà che comincia. Le persone sono fondamentali: le cose si creano quando le persone si aiutano.
Non poteva lasciarci con un messaggio più bello di questo Elena. Condividere ha un valore inestimabile, non trovi? Per conoscerla meglio e non perdere i suoi progetti puoi seguirla su Instagram, la trovi digitando @elenatravainiblindmodel.
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