Per la rubrica Interviste Gentili, in vista del Natale, abbiamo deciso di raccontarvi una storia molto intrigante che parla di lingua e di cultura. Di cosa si tratta? Del significato originario, del potere e della storia della gentilezza.
E lo facciamo con il professor Paolo Canettieri, ordinario di Filologia Romanza presso l’Università Sapienza di Roma.
Abbiamo conosciuto il professor Canettieri grazie ad internet e in un’interessante chiacchierata in videochiamata, durante la quale ci ha raccontato del suo progetto: scrivere la storia della gentilezza.
L’idea ci ha subito affascinate, anche perché ricostruire l’evoluzione del termine gentile e della gentilezza è un’impresa non da poco, viste le implicazioni sociali e culturali che hanno. E così gli abbiamo proposto di realizzare un’intervista sul nostro blog per presentarsi e darci qualche piccola anticipazione sul lavoro che sta svolgendo, insieme a qualche consiglio su come affrontare oggi il tema della gentilezza.
Partiamo dalle presentazioni: chi è Paolo Canettieri?
Sono un professore di una materia letteraria, la Filologia romanza, che si occupa di studiare le lingue che discendono dal latino e i testi che in queste lingue sono scritti.
In particolare, il filologo romanzo si occupa del periodo aurorale delle civiltà romanze, cioè il Medioevo. Di qui una riflessione profonda sui lasciti di quest’epoca alla Modernità e sulla funzione di cerniera che questo periodo ha avuto fra noi e la Classicità.
Parliamo adesso di un suo progetto. Sappiamo che sta lavorando ad un compito arduo: ricostruire la storia della gentilezza. Ci dica qualcosa di più: da dove nasce l’idea e perché ha deciso di intraprendere questo lavoro?
L’idea nasce proprio dai fondamenti della mia disciplina: la riflessione sui lasciti del medioevo e la sua funzione di cerniera. La gentilezza è una categoria che nasce con il mondo romano, si sviluppa nel medioevo e, mutando in parte di significato e statuto ontologico, giunge fino a noi.
L’aggettivo gentile viene dal latino gentilis, che non significava quello che significa oggi. Indicava l’appartenenza ad una gens e quest’ultimo concetto è legato al greco γένος “stirpe”, da cui, ad esempio, la genealogia, lo studio dei rapporti di discendenza, gruppo di uomini che hanno in comune un medesimo antenato e il nome. L’appartenenza alla gens determina il ceto in cui si rientra (si pensi alle più note, la gens Claudia, la gens Julia ecc.) e i gentiles erano quindi i nobili, gli aristocratici.
Il fatto è che nel Medioevo i gentili, intesi come gli aristocratici, crearono un insieme di norme distintive rispetto agli altri. La gentilezza, intesa come oggi la intendiamo, era appannaggio di re, duchi, conti, visconti e nasce prima nella Francia del Sud e poi viene esportata nelle altre regioni, Francia del Nord, Italia, Penisola Iberica, Germania ecc. Solo con il XIII secolo quest’etica si diffonde presso i ceti che imitavano nei modi gli aristocratici, in primo luogo i mercanti (ma non solo). Con gli sviluppi della Modernità, resta un collegamento fra il significante, gentile, e l’etica ad esso legata, che comportava soprattutto un trattamento elevato nei confronti delle dame e spesso la sottomissione dell’uomo nei loro confronti, ma anche una serie di regole nei modi di comportamento in società, a tavola, persino in guerra. L’insieme di queste regole costituisce ancora oggi uno dei cardini della civiltà e del processo di civilizzazione dell’uomo.
Come in parte ci ha raccontato, tutto parte dal termine “gentile”, una parola che subisce nel corso del tempo grandi evoluzioni. Quali sono le difficoltà incontrate per raccontare i vari passaggi di questo termine?
In sé, la ricostruzione dell’etimologia è ben nota, quindi questo non comporta difficoltà. La questione rilevante, tuttavia, è quella di studiare come l’evoluzione di questa parola si intrecci e vada di pari passo con l’evoluzione dei costumi e questo è un problema storico, innanzitutto.
Un aspetto che invece l’ha sorpresa studiando la storia della gentilezza?
Mi ha impressionato soprattutto il fatto che la gentilezza abbia costituito un fattore imitativo importante delle classi elevate: si pensi che ancora oggi diciamo “un uomo di classe”. Anche il concetto di classe ha un’evoluzione parallela a quello di gentile. Oggi la gentilezza non comporta più questo, sembra un dato acquisito, ma non lo è, perché la villania è sempre in agguato nell’etica umana, la vediamo saltar fuori ogni volta che abbassiamo la guardia.
Ricorda nella sua esperienza accademica episodi di non gentilezza?
Molti, ma non ne parlerò, per gentilezza.
Qual è il consiglio gentile che desidera lasciare?
Credo che la gentilezza sia un processo inevitabile, ma non dobbiamo mai abbassare la guardia, anche nei momenti in cui saremmo meno portati a comportarci in modo gentile.
Un libro per avvicinarsi alla comunicazione gentile?
La civiltà delle buone maniere di Norbert Elias, ora da leggere, e Il declino della violenza di Steven Pinker.
Avevi mai riflettuto su questo aspetto “esclusivo” del termine gentile? Quest’intervista per noi è stata utile proprio per far luce sull’importanza di ricostruire la storia del pensiero per poter capire meglio il presente e le sue mille sfaccettature.
Se desideri porre altre domande o curiosità al professor Paolo Canettieri, puoi contattarlo all’ email paolo.canettieri@uniroma1.it.
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