Giornata Mondiale della Gentilezza: perché è così bello essere gentili?

Giornata Mondiale della Gentilezza

Il 13 Novembre in tutto il mondo è la Giornata Mondiale della Gentilezza. Un evento particolarmente caro a noi della Scuola di Comunicazione Gentile, che ci consente di riflettere su un tema, quello della gentilezza, sul quale c’è ancora molto da fare per farlo diventare protagonista virtuoso della quotidianità.
Di anno in anno è però incoraggiante notare che qualcosa si muove e che c’è maggiore consapevolezza nel ritenere la gentilezza la ricetta della felicità!
Nei due anni che ci stiamo lasciando alle spalle abbiamo avuto occasione di ragionare su molti aspetti delle nostre esistenze, perché la pandemia ci ha costretti all’isolamento, al distanziamento e alla paura del contagio. Qualcuno su questi timori ha creato una propria dialettica, provocando reazioni tutt’altro che gentili. Ed è stato un peccato.
C’è però un movimento globale che contrappone alla proliferazione dell’odio un incoraggiamento all’amore per l’altro e alla fiducia senza remore. Noi ci siamo accodati/e a questo cammino di gentilezza e lavoriamo quotidianamente per promuovere metodologie didattiche e prassi comunicative che mettano al centro l’accoglienza, l’inclusività e l’empatia.
Vogliamo quindi raccontarti cos’è la gentilezza e come può rendere le nostre vite più serene. E lasceremo dei consigli utili per portarla nelle tue giornate attraverso pratiche quotidiane. 

Perché la giornata mondiale della gentilezza si celebra il 13 Novembre?

La data del 13 Novembre come World Kindness Day è stata scelta perché è la data d’inizio della conferenza del World Kindness Movement, svoltasi a Tokyo nel 1997, che portò alla firma della Dichiarazione della Gentilezza. La Giornata Mondiale della Gentilezza fu tuttavia ufficializzata nel 2000, in occasione della 3° conferenza annuale del Movimento Mondiale della Gentilezza.
Ad oggi il Movimento conta 27 nazioni aderenti, che si riuniscono ogni anno per parlare di progetti condivisi e sviluppo sostenibile.
L’Italia ha aderito nel 2001, con il Movimento Italiano per la Gentilezza, che ha sede a Parma.
L’obiettivo dell’associazione è la promozione di uno stile di vita che metta al centro la comunità, per diffondere un’idea di progresso condivisa e una convivenza basata sull’armonia e sull’empatia.

Le iniziative per la Giornata Mondiale della Gentilezza 2021

Nel 2021 le iniziative per la Giornata Mondiale della Gentilezza sono iniziate l’8 novembre, con eventi online e offline, nelle scuole, nelle aziende e presso le istituzioni pubbliche.
Ne segnaliamo alcune molto interessanti e, se conosci altri eventi da indicare, saremo molto felici di inserirli.

Programma del Festival della Gentilezza 2021 | Giornata Mondiale della Gentilezza
Programma del Festival della Gentilezza 2021
  • Festival della Gentilezza – 09/14 Novembre 2021
    Giunto alla 3° Edizione, il Festival della Gentilezza promosso dall’Associazione Coltiviamo Gentilezza, prevede una settimana di eventi dal 09 al 14 novembre. Sei giorni per sei temi gentili, con visite guidate, laboratori, conferenze, talk e tanto altro.
    Hanno aderito oltre 200 realtà tra scuole, negozi, musei, librerie e professionisti ed ognuno ha proposto un’iniziativa a tema. I temi scelti sono: comunità, sanità, cultura, scuola, accoglienza/servizio, benessere.
    Il programma è consultabile qui
  • Settimana Internazionale della Gentilezza – 08/13 Novembre 2021
    In presenza e online, si svolgerà la 1° Settimana Internazionale della Gentilezza, con eventi in tutta Italia, volti a declinare il valore della gentilezza. Promosso da Italia Gentile, progetto dell’associazione no profit My Life Design Onlus, è un’iniziativa che coinvolge realtà imprenditoriali, scuole, carceri e ospedali, per dimostrare quanto essere gentili faccia bene alla mente e al cuore, basandosi su evidenze scientifiche.
    Il programma è consultabile qui 
  • Calendario dell’Avvento della Gentilezza
    La blogger Helen, che gestisce il blog Make Today Happy, nel 2015 ha lanciato il calendario dell’Avvento della Gentilezza, per arrivare al Natale compiendo 25 gesti gentili.
    Da quel momento è diventato virale e viene riproposto ogni anno.
    Cliccando qui potete trovare la traduzione di Green Me.
    Noi però vogliamo invitarti a realizzare il tuo calendario dell’Avvento della Gentilezza. Per stimolarti in questa impresa, lanciamo il 1° gesto: regalare una decorazione natalizia home made alla persona più gentile che conosci!

La Gentilezza fa bene: lo dice la scienza

Abbiamo parlato del valore dei gesti gentili. Su cosa si basa però la nostra convinzione sull’importanza di essere cortesi e di predisporsi all’empatia? Su due concetti fondamentali: la pratica quotidiana e le evidenze scientifiche.
Ogni giorno ci relazionano con le persone, sia a livello fisico sia virtuale e per farlo abbiamo bisogno delle parole. Che linguaggio utilizziamo nelle chat e via mail?

Facciamo un test. Vi mostriamo due messaggi:
1. “Buongiorno Genny, come stai? Riusciresti ad inviarmi il file per il progetto”;
2. “Puoi inviarmi il file del progetto?”
Quale dei due ti fa sentire meglio?!


La risposta è prevedibile ma, ti assicuriamo, non è così scontato ricevere un saluto, un buongiorno e un come stai. Perché tutto questo? Perché negli anni la dinamica del successo, del potere e della concorrenza, ci ha portato ad essere “pratici”, rinunciando a volte alle buone maniere e, cosa ancora più importante, saltando totalmente il passaggio di porci nella condizione dell’altro. Si punta esclusivamente al tornaconto personale.
Eppure inviare o ricevere messaggi gentili ha un impatto immediato sul nostro spirito e ci rende più predisposti al sorriso durante la giornata. Praticare gentilezza è dunque il primo gesto per migliorare la qualità della vita e contribuire alla gioia dell’altro: quando state per inviare un messaggio o quando incrociate lo sguardo di una persona, verificate che ci sia il saluto iniziale oppure salutate con un sorriso. Ti sentirai subito meglio!

Queste piccole azioni, che sembrano un aspetto legato all’istinto o alla condotta morale, hanno in realtà delle ricadute fisiologiche importanti anche sul nostro organismo. E le evidenze della scienza per noi sono state fondamentali per capire che c’era bisogno di agire in fretta per promuovere la gentilezza, perché, possiamo dirlo, fa bene alla salute.
Partiamo dalla genetica. Immaculata De Vivo, docente di medicina ad Harvard e massima esperta di epidemiologia molecolare e genetica del cancro, ha dimostrato che i buoni sentimenti agiscono sul nostro DNA, combattendo l’infiammazione e l’ossidazione, che sono causa di invecchiamento precoce. Essere gentili quindi ci fa vivere più a lungo.
Per entrare ancora più nel vivo dell’impatto sulla salute, parliamo delle malattie cardiovascolari. Uno studio del National Institute of Aging di Baltimora, che ha preso in esame 5.614 persone di età compresa tra i 14 e i 94 anni, ha evidenziato come le persone dal temperamento più aggressivo sviluppino più facilmente un ispessimento delle carotidi, con un aumento del 40% di rischio di infarto.

La gentilezza è stata inoltre studiata anche in altri ambiti, come il lavoro e la scuola, con risultati sorprendenti dal punto di vista del miglioramento dell’apprendimento e delle relazioni. Tutto questo ci ha spinto a creare la Scuola di Comunicazione Gentile, che non a caso abbiamo definito “scuola”. Sapete perché? Perché la gentilezza si può insegnare! Secondo Daniel Lumera, sociobiologo e autore del testo “La biologia della gentilezza”, bastano 3 gesti gentili al giorno, nei confronti di una persona, di un animale e di una pianta per stare bene con sé stessi. E, come se fosse un muscolo, può essere allenata sin da piccoli. Per questo educare i bambini e i ragazzi nelle scuole a praticare gentilezza è un investimento sul futuro, anche perché innesca un effetto dòmino. Quando riceviamo un gesto gentile siamo istintivamente portati a ricambiare, questo perché la comunità è regolata dalla reciprocità, della quale le neuroscienze ne evidenziano le basi. Entrano in gioco infatti i neuroni specchio, basilari per l’empatia, perché ci spronano a imitare i gesti che vediamo e a immedesimarci nella situazione dell’altro. Un esempio? Pensa a quante volte hai sbadigliato appena dopo aver visto qualcuno sbadigliare! Ma, come dichiara la neuropsicologa Daniela Mapelli, docente all’Università di Padova, “la contagiosità dipende anche dall’apprendimento: se mi hanno insegnato a essere ben educato, io metterò in atto quel comportamento con una frequenza elevata”.

Essere gentili è dunque un approccio che ha delle ricadute positive su ogni aspetto della vita e ci aiuta a superare momenti, come quelli caratterizzati dalla rabbia, che ci farebbero solo perdere tempo prezioso da dedicare alla nostra stabilità emotiva.

Aforisma di Buddha sull'importanza delle parole
Un aforisma di Buddha sull’importanza delle parole

Tre progetti gentili in occasione della Giornata Mondiale della Gentilezza 2021

Condividere gentilezza è il primo passo per diffonderla ed è per questo che crediamo fortemente nella promozione di progetti vicini al nostro e di iniziative basate su valori che condividiamo. Abbiamo quindi selezionato tre progetti che troviamo molto interessanti e portatori di principi basati sul rispetto reciproco, l’accoglienza e il benessere.

  • Coltiviamo Gentilezza
    https://www.coltiviamogentilezza.it/
    Il progetto sociale Coltiviamo Gentilezza è nato nel 2018 da un’idea di Viviana Hutter, scrittrice e creativa e Margherita Rizzuto, nomade digitale ed esperta di politiche e strategie sociali e culturali. Promuove la cultura delle emozioni e  dell’empatia e organizza il Festival della Gentilezza, coinvolgendo scuole, realtà culturali e attività locali. Realizza progetti in tutta Italia seguendo 4 termini chiave: semina, coltiva, diffondi, sostieni.
  • Costruiamo Gentilezza
    https://costruiamogentilezza.org  
    Progetto nazionale dell’Associazione “Cor et Amor”, è nato nel 2014 per diffondere gentilezza con azioni concrete sul territorio e coinvolgendo professionisti e pubbliche amministrazioni. Ha una rete molto ampia, che coinvolge comuni, assessori, medici, insegnanti, imprenditori e allenatori, definiti costruttori di gentilezza. I principi base dell’associazione sono proporre, partecipare, promuovere con la finalità di realizzare una società basata sul benessere diffuso.
  • Italia Gentile
    www.italiagentile.com
    Nato nel 2020 come progetto dell’associazione My Life Design Onlus, coinvolge persone, enti, imprese ed istituzioni per diffondere il valore della Gentilezza e creare progetti ad alto impatto sociale. Organizza “La settimana della gentilezza”, con eventi online e offline su tutto il territorio nazionale. Nel 2020 la Repubblica di San Marino, entrando a far parte del progetto, è diventata il 1° stato gentile del mondo.

I nostri consigli gentili

L’excursus sulla gentilezza in onore della giornata mondiale che la celebra si chiude con alcuni nostri consigli su come rendere le vostre giornate più gentili. Sono delle azioni che abbiamo imparato a compiere perché ci fanno sentire meglio e perché consentono di venirci incontro a vicenda, anche a distanza. 

  • Inizia ogni messaggio con saluto
    Se utilizzi mail e whatsapp per lavoro, inserisci sempre un saluto all’inizio della comunicazione. È un modo per cominciare con il piede giusto ed essere tutti a proprio agio.
  • Per le richieste prediligi il condizionale
    Nel parlato, ma soprattutto nello scritto, fare attenzione al tempo verbale evita di risultare troppo perentori, soprattutto quando si devono fare richieste o reminder.
    Esercitati ad utilizzare il condizionale: diventerà presto una piacevole abitudine.
  • Seleziona le informazioni
    Impara a selezionare le informazioni che leggi, soprattutto se ami condividerle con gli amici sui social. Verifica che la fonte sia citata e attendibile e che non utilizzi un linguaggio troppo sensazionalistico.
    Ricordi i neuroni specchio? Condividere informazioni utili e gentili aiuta a diffonderle maggiormente!

Se questo articolo ti è piaciuto, ti invitiamo a condividerlo sui tuoi canali social e tra le persone che conosci. Ci aiuterai a diffondere pratiche gentili e ad ostacolare l’hate speech. 

Vuoi dirci la tua? Lascia un commento, non vediamo l’ora di leggerlo!

 

Linguaggio inclusivo: definizione ed esempi per comprenderne l’importanza

Se ne parla già da tempo, ma nonostante questo essere esaustivi è davvero difficile quando si affronta un tema come quello del linguaggio inclusivo. Ciò è dovuto, in modo particolare, a tre fattori chiave:

  • ci troviamo davanti a quella che i linguisti chiamano “riflessione metalinguistica”, ovvero utilizzare la lingua per parlare della lingua stessa
  • l’italiano, per sua natura, non è una lingua neutra
  • la lingua è in costante evoluzione, pertanto siamo alle prese con qualcosa che cambia di giorno in giorno

Nonostante questo, è doveroso provare a dettare delle regole, a scrivere nero su bianco una definizione, a mettersi in gioco per cambiare ciò che “è sempre stato così”. Ad imporlo è la natura stessa del linguaggio inclusivo che, come vedremo, nasce proprio per cambiare vecchie e radicate abitudini, allargare la cerchia degli ascoltatori, includere.

Definizione di linguaggio inclusivo

“Le parole sono importanti” non è solo la citazione che attribuiamo a Nanni Moretti e al protagonista di uno dei suoi film – Palombella Rossa – ma è anche la premessa che giustifica un uso consapevole del linguaggio.

Proprio come insegna il film – il protagonista Michele Apicella richiama una giornalista per la scelta di alcune forme linguistiche – prima di scrivere o parlare è buona abitudine riflettere, pensare e valutare ciò che si sta per dire. Nello specifico, quello che bisognerebbe saper immaginare sono gli effetti che le nostre parole potrebbero avere su chi le ascolta, chi le legge, chi in qualche modo le riceve.

Il linguaggio inclusivo si pone questo grande obiettivo e offre la possibilità di costruire forme di comunicazione prive di stereotipi, pregiudizi e atti discriminatori nei confronti di determinate categorie di persone.

Il linguaggio, inteso come forma di comunicazione, rappresenta la facoltà che più di ogni altra distingue gli essere umani dalle altre specie. Gli atti di parola, però, possono sminuire, offendere, denigrare o escludere, anche quando non c’è intenzionalità. L’utilizzo di un linguaggio non discriminatorio è una forma di rispetto, esprime la volontà di includere, rappresenta il primo passo verso l’inizio di nuove relazioni.

In altre parole potremmo dire che il linguaggio inclusivo è una prassi da adottare al fine di realizzare forme di comunicazione – non solo scritte o orali – che sappiano rappresentare tutte le sfere del vivere sociale, evitando le distinzioni di sesso, origine, colore della pelle, disabilità, orientamento sessuale, preferenze politiche e così via.

Linguaggio inclusivo e categorie discriminate: chi sono le persone fragili?

Chi sono le persone discriminate? Cosa provano quando si sentono escluse a causa di un uso improprio delle parole? Non è facile immaginarlo. I contesti nei quali ciò può accadere sono svariati. Scuola, lavoro, famiglia, società, gruppo dei pari, la comunicazione attraversa e caratterizza ogni nostra azione.

Vi sono delle persone che possiamo definire più fragili di altre. Si tratta di quelle persone appartenenti alle categorie maggiormente escluse dai discorsi o esposte di frequente a forme di comunicazione discriminanti. Nello specifico parliamo di:

  • persone di sesso femminile
  • persone che non si identificano con il sesso biologico
  • persone con disabilità
  • persone appartenenti a determinate etnie
  • persone che professano la loro fede
  • persone che vivono in uno stato di povertà

Probabilmente le categorie citate non sono esaustive, ma ci offrono la possibilità di riflettere sul fatto che forme di comunicazione discriminanti pervadono la nostra vita più di quanto immaginiamo.

Come intervenire? Di chi è la responsabilità? Esistono modelli comunicativi basati sull’inclusività? Se sì, in che modo è possibile adottarli e farli propri? Nella comunicazione l’obiettivo di essere inclusivi è davvero raggiungibile?

Proviamo a rispondere attraverso una serie di esempi e casi pratici.

Parlare inclusivo: case history, esempi e casi pratici

La lingua italiana adotta una serie di convenzioni alle quali le persone, con il tempo, si sono così abituate a tal punto da ritenerle vere e proprie norme. Spesso, però, non è così e questo è il punto dal quale partire per costruire un linguaggio inclusivo.

Il maschile sovraesteso

Si tratta di una delle convenzioni più diffuse e non è inusuale arrivare a non farci caso. Per capire di cosa stiamo parlando facciamo qualche esempio:

Il primo maggio è la Festa dei LavoratoriIl primo maggio è la festa del lavoro
Gli studenti stanno svolgendo una prova praticaLa classe è impegnata in una prova pratica
Benvenuto sul nostro sito web!Siamo felici di averti qui

Queste sono solo tre frasi che sentiamo e leggiamo abitualmente. Sono costruite ricorrendo al maschile sovraesteso, ma basterebbe riflettere qualche minuto per capire che ci sono delle valide alternative e adottare, così, un linguaggio che includa anche le donne.

Esempio di linguaggio inclusivo: no al maschile sovraesteso
Rappresentare le donne nella lingua di tutti i giorni è possibile

La festa dei lavoratori, ad esempio, può diventare “La festa del lavoro”; per definire gli studenti possiamo utilizzare il collettivo “classe”; al posto di benvenuto potremmo utilizzare un più caloroso “Siamo felici di averti qui”.

Strategia e creatività permettono di costruire un discorso sicuramente più inclusivo. Chiediamo aiuto alle perifrasi e ai sinonimi, proviamo a cambiare il punto di vista nella frase, non dimentichiamoci dei nomi collettivi e astratti, cerchiamo di fare a meno di sostantivi, pronomi e aggettivi che non siano neutri.  Prestiamo attenzione al participio passato: quando ci troviamo davanti ad un tempo composto e l’ausiliare è il verbo essere è bene ricordare che il participio concorda sempre in genere e numero con il soggetto.

Anche qui, però, possiamo trovare delle valide alternative semplicemente cambiando il soggetto della frase.

E se dobbiamo fare riferimento ai gruppi di persone? Andiamo alla ricerca dei sostantivi generici che definiscono le categorie. Ad esempio, per i indicare “i dottori” possiamo utilizzare anche “personale medico”; “professori” e “docenti” hanno lo stesso significato di “corpo docente”; sostituiamo “scienziati” con “comunità scientifica”.

Ad ogni modo il grado di rappresentazione delle donne all’interno del linguaggio è solo uno degli aspetti sui quali occorre lavorare. 

Le parole della disabilità

Quando parliamo di linguaggio inclusivo, infatti, dobbiamo fare i conti con altrettante espressioni, parole e modi di dire che a prima vista appaiono innocue, ma in realtà non lo sono.

Disabile, handicappato/a, diversamente abilePersona con disabilità

Un esempio lo troviamo tra le parole che definiscono la disabilità, ovvero disabile, handicappato/a, diversamente abile. Cosa hanno di sbagliato? Sono totalizzanti e forniscono l’immagine di un gruppo omogeneo. 

Linguaggio inclusivo e disabilità
Parlare di disabilità è fondamentale, ma è necessario farlo utilizzando le parole giuste

Al contrario, l’espressione “persona con disabilità” lascia intendere che la persona possiede molteplici tratti e che la disabilità è solo uno di essi. Di conseguenza diremo persone cieche, persone non vedenti o persone con disabilità visiva invece di cechi; persona con autismo o persona autistica invece di autistico e così via.

Oltre il genere binario

A non sentirsi rappresentate nella lingua italiana sono anche le cosiddette persone non-binary, ovvero quelle persone che non si riconoscono nella costruzione binaria del genere.

La necessità è quella di esprimersi attraverso un genere neutro, caratteristica che la lingua italiana non possiede. Negli ultimi anni, proprio a ragion di ciò, sono state avanzate delle proposte che si pongono l’obiettivo di superare l’ostacolo e aiutare queste persone a fare cose scontate, come ad esempio descriversi o qualificarsi.

Il linguaggio inclusivo permette di superare la visione binary uomo donna
Le persone non binary spesso non si sentono rappresentate nei discorsi

Se da una parte alcune persone non binarie preferiscono mescolare maschile e femminile, dall’altra c’è chi utilizza la u come vocale finale – Ciao a tuttu -, chi ha scelto la via della ə – Ciao a tuttə -, chi ricorre all’asterisco – Ciao a tutt*.

Si tratta di una possibilità poiché, come sappiamo bene, la lingua italiana si basa sulla distinzione sessuale binaria e cambiare la sua struttura richiede un lungo lavoro. Al tempo stesso sappiamo che in questo modo stiamo lanciando un segnale alla comunità dei parlanti, ovvero la volontà di includere.

Linguaggio e pregiudizi

Impossibile negare che a volte ci troviamo davanti a parole, frasi o espressioni dalla dubbia interpretazione. A chi non è capitato, almeno una volta, di utilizzare un termine e subito dopo pensare: “Oh no, ma io non intendevo quello!”.

La nostra lingua raccoglie al suo interno una serie di termini che, sulla base di come sono utilizzati nel tempo, sono carichi di significati aggiunti o, addirittura, hanno smesso di essere funzionali in alcuni contesti.

Linguaggio inclusivo e pregiudizi: il caso delle parole rom e nomade
Scegliere le parole giuste aiuta a non alimentare stereotipi e pregiudizi

Si pensi, ad esempio, ai termini rom e nomade. Sul vocabolario Treccani alla voce nomade si legge:

nòmade agg. e s. m. e f. [dal lat. nomas -ădis, gr. νομάς -άδος, propr. «che pascola, che va errando per mutare pascoli», dal tema di νέμω «pascolare»]. – 1. Di gruppo etnico (e suoi appartenenti) che pratica il nomadismo: popolo, stirpe, tribù n., pastori n.; come sost. (spesso riferito, in partic., agli zingari): una tribù, una carovana, un accampamento di nomadi. Per estens., di ciò che è caratteristico delle popolazioni nomadi: fare vita nomade. 2. fig. Di persona o gruppo che non ha fissa dimora e muta frequentemente residenza, o che si sposta continuamente da un luogo a un altro (anche per motivi inerenti all’attività svolta): essere, sentirsi un n.; una compagnia di (artisti) nomadi.

Oggi sappiamo bene che il termine nomade ha perso il suo significato originale e viene spesso utilizzato per connotare negativamente le persone di etnia Rom che vivono nel nostro paese. Quante di loro sono davvero nomadi? Nella maggior parte dei casi, e soprattutto in relazione al fenomeno degli immigrati di seconda generazione, ci troviamo davanti a persone che non hanno mai vissuto il nomadismo nella loro vita. Pertanto il termine nomade, così come accade per zingaro, evoca un’idea di degrado e pericolo per la sicurezza della cittadinanza.

La stessa parola Rom, infine, viene utilizzata spesso con funzione dispregiativa, alludendo non alla nazionalità ma a persone violente e pericolose. Un uso scorretto di questi termini ha portato ad una correlazione inesistente, ovvero quella tra nazionalità Rom e persone pericolose, evocando sentimenti di razzismo nella collettività.

Essere consapevoli di come evolve la nostra lingua, di quali significati si nascondono dietro determinate parole, di come la collettività percepisce determinati discorsi è fondamentale per comunicare senza escludere.

Saper comunicare utilizzando un linguaggio inclusivo non è l’obiettivo da raggiungere, quanto piuttosto un processo che dura una vita. La lingua, infatti, è in costante mutamento e risente fortemente del contesto sociale e dell’utilizzo che di essa fanno i parlanti. Se da una parte non potremo affermare di aver raggiunto il nostro scopo, dall’altra possiamo prepararci ad accogliere i cambiamenti e a rivedere le nostre abitudini linguistiche ogni qualvolta ce ne sarà bisogno

Cosa sono le fake news? Storia di una pratica sempre esistita

Il termine fake news, o bufala mediatica, è entrato ormai nel linguaggio comune ed è un fenomeno in costante crescita, alimentato nell’ultimo anno dall’infodemia pandemica, un sovraccarico di informazioni che in alcuni casi ha influenzato la vita delle persone e l’opinione pubblica su temi sociali ed economici rilevanti.
Cosa sono le fake news e da dove nascono? Lo vedremo insieme in questo articolo, che ha l’obiettivo di ripercorrere l’origine delle fake news e la sua evoluzione nell’era digitale.

 

Fake news: cosa sono

Le fake news sono delle notizie completamente o parzialmente false, diffuse con l’obiettivo di instillare nelle persone idee e convinzioni a supporto di una causa esterna. Spesso ha connessioni con interessi politici, economici e sociali e, per conquistare i lettori, alimenta pregiudizi, paure e istinti.
L’enciclopedia Treccani definisce così le fake news: 

“Locuzione inglese entrata in uso nel primo decennio del XXI secolo per designare un’informazione in parte o del tutto non corrispondente al vero, divulgata intenzionalmente o inintenzionalmente attraverso il Web, i media o le tecnologie digitali di comunicazione, e caratterizzata da un’apparente plausibilità, quest’ultima alimentata da un sistema distorto di aspettative dell’opinione pubblica e da un’amplificazione dei pregiudizi che ne sono alla base, ciò che ne agevola la condivisione e la diffusione pur in assenza di una verifica delle fonti.”

Siamo dunque di fronte a un’espressione figlia del nostro secolo, la cui diffusione è diventata globale a partire dal 2016, dopo l’elezione di Donald Trump. Nel 2017 infatti il neoeletto presidente degli Stati uniti fece ampio uso del meccanismo delle fake news per rafforzare la sua campagna contro i mezzi di informazione, operazione pesantemente criticata nel 2018. Le conseguenze prodotte dalla diffusione di notizie mendaci sono direttamente collegate al concetto di postverità, ossia una verità distorta costruita sulle emozioni e le convinzioni dell’opinione pubblica, che è lontana dalla realtà ma che orienta il pensiero. Uno stratagemma perfetto per chi cerca consensi facili!
Il fenomeno delle fake news si è poi diffuso in tutto il mondo e l’avvento della pandemia lo si può considerare come il primo vero scontro con la gestione della nuova comunicazione di massa e la diffusione sistematica di contenuti falsi. Nel XXI secolo infatti l’informazione è diventata multicanale e immediata e internet, dando spazio a tutti, è il luogo ideale per creare dal basso notizie infondate, puntando sulla velocità di diffusione per creare viralità. Dai primi dati del 2020, l’informazione mondiale ne esce molto penalizzata, perché di fatto non ha saputo organizzare, gestire e diffondere un’informazione basata sui fatti e coerente con quanto accadeva. Ha dimostrato tutte le sue debolezze e adesso sarà importante reagire promuovendo nuovi approcci e nuove metodologie di selezione dei dati. 

Le fake news nel 2020
Il 2020 passerà alla storia come l’anno del Coronavirus, che ha scatenato un’epidemia internazionale, sconvolgendo la quotidianità di tutte le persone del pianeta e mettendo a dura prova le economie mondiali. La pandemia da Covid-19 è stata inoltre la prima pandemia all’epoca dei social e questo aspetto non è di poco conto in relazione all’argomento che stiamo affrontando. Il web infatti, e in particolare i social network, sono stati la primaria fonte di diffusione di informazioni false, con il risultato di confondere le persone e di tenerle in un perenne stato di agitazione. Secondo un’indagine della Polizia Postale, nel 2020 c’è stato un +436% di denunce di fake news e un +353% di messaggi di “alert”, evidenziando uno stato d’emergenza per la credibilità di tutto il settore dell’informazione.
Internet infatti con la sua vocazione alla pluralità e con la possibilità di dare parola a chiunque sia in grado di creare una notizia o di aprire un profilo pubblico, ha messo a dura prova il controllo delle informazioni, con il risultato di trovare notizie false diffuse anche dagli organi tradizionali, proprio per la difficoltà di risalire alle fonti e di vagliare con attenzione la veridicità di quanto diffuso.
Il rapporto Ital Communications del Censis ha messo in luce quanto le fake news abbiano influenzato il pensiero degli italiani sul Covid. Il 38,6% degli italiani ad esempio è convinto che il virus sia stato creato in laboratorio e sfuggito per sbaglio, mentre il 4,6% della popolazione, circa 2 milioni e 300.000 persone, ritiene ci sia una connessione tra il Coronavirus e la rete 5G. 
L’incontro costante con le fake news, soprattutto in rete, risale però al periodo prepandemico. Secondo i dati di Eurobarometro, nel 2019 il 71% degli europei e il 63% degli italiani si imbatteva in almeno una fake news al mese, aumentando così il rischio di condividere informazioni non veritiere. La pandemia ha dunque accelerato un processo già in atto, creando una produzione di informazioni eccessiva e causando nella maggior parte della popolazione una confusione diffusa. Sempre secondo il Censis infatti il 49,7% degli italiani ritiene che la comunicazione pandemica sia stata confusionaria e per il 39,5% ansiogena, tutti fattori che compromettono anche l’attendibilità della comunicazione ufficiale. Il Ministero della Salute, per correre ai ripari, ha realizzato una sezione ad hoc per informare sulle fake news maggiormente diffuse nell’ambito della comunicazione sanitaria collegata al Covid-19, ma può bastare un solo canale ufficiale per far fronte ad una diffusione così ampia? 

Ciò che occorre più di ogni altra cosa è un’adeguata campagna di informazione sull’utilizzo degli strumenti digitali, che possa aiutare gli utenti a capire come smascherare le fake news e neutralizzarne gli effetti. Su questo l’Italia è ancora un po’ indietro perché, se da un lato si è abbassato il digital divide con un maggior accesso alle piattaforme online, dall’altro è aumentata l’information gap, ossia la capacità di discernere le informazioni e capire quali provengono da fonti attendibili e quali è importante scartare.  Le fake news si nutrono proprio di queste mancanze e, in alcuni casi, complici le verosimiglianze con fatti realmente accaduti o con episodi straordinari della realtà, riescono a fare breccia nella mente di tantissime persone.
Questa modalità non è nuova alla storia del mondo. La diffusione di notizie false a scopi politici, economici e sociali affonda infatti le proprie radici nella notte dei tempi e alcune fake news sono diventate epiche per la loro eccezionalità.

Le fake news più famose della storia
La fake news più clamorosa, che ha inciso in maniera importante sulla crescita di quello che diventerà lo Stato della Chiesa, è la Donazione di Costantino, un documento che parlava di una donazione fatta dall’Imperatore romano Costantino a papa Silvestro, a seguito di una sua miracolosa guarigione dalla lebbra. Il documento fu dichiarato falso nel 1500 da Domenico Valla, ma ormai lo stato della Chiesa era diventato già una potenza globale, puntando anche sul prestigio di una validazione che veniva direttamente dall’impero.
Un’altra fake news di matrice storica è legata a Napoleone Bonaparte. Nel febbraio del 1814, il celebre generale francese fu dichiarato morto. La notizia, sebbene non fosse stata immediatamente confermata dagli organi ufficiali, sconvolse così tanto la popolazione che ebbe fortissime ricadute sulla borsa di Londra, che crollò di colpo. Gli autori della diffusione della falsa notizia erano proprio degli investitori che hanno poi guadagnato sul crollo dei titoli governativi. Fu accusato però del misfatto Sir Thomas Cochrane, un membro del Parlamento inglese ed eroe navale, che riuscì a riottenere titoli e prestigio solo dopo diversi decenni.
Passando a fake news legate ad eventi straordinari, come non citare le tesi complottiste intorno allo sbarco sulla Luna? Tra le fake news più famose ci sono quelle relative alla bandiera che sventola, che in realtà non sventola, ma è semplicemente stropicciata dal viaggio, e la teoria secondo la quale le foto e le riprese dello sbarco siano state costruite in studio. A 50 anni da una conquista epica, ancora c’è chi la ritiene solo un fotomontaggio.
Arrivando ai giorni nostri, una delle più sorprendenti fake news che hanno scosso l’America nel 2016, è quella della presunta nascita dell’ex presidente degli Stati Uniti Barak Obama in Africa e non negli Stati Uniti, dato questo che avrebbe reso incostituzionale la sua elezione. Per diventare infatti Presidente degli Stati Uniti d’America è obbligatorio nascere in territorio statunitense.  Sono circolati in rete diversi certificati di nascita, tra i quali ricordiamo quello di Honolulu, nelle isole Hawaii, e in Kenya, con addirittura la foto di un piedino del neonato. Dopo accesi dibattiti, smentite e dubbi, fu lo stesso Donald Trump a dichiarare pubblicamente che la notizia fosse una fake news.
Questa carrellata di notizie ci dà la possibilità di capire a quale livello possano arrivare le fake news e quali ricadute possano generare. Diventa dunque fondamentale saperle riconoscere per non innescare meccanismi di diffusione, anche involontari, che potrebbero provocare danni economici e sociali importanti. 

Come riconoscere e neutralizzare le fake news
Le notizie, come possiamo constatare ogni giorno, viaggiano velocemente in rete e questa velocità è il segreto del loro successo. Il primo passo per poterle individuare è dunque quello di dedicare qualche minuto all’analisi di una news che si pensa di condividere. Cominciamo dal titolo: guardando ad una news ciò che ci colpisce è principalmente il titolo e le immagini correlate. Tanto più è sensazionale il titolo, tanto più la nostra attenzione viene colpita. A questo punto dovrebbe scattare il primo campanello d’allarme.  I titoli sensazionalistici fanno spesso leva sugli argomenti caldi del momento o su situazioni emozionali che colpiscono subito. Prima di dare credito a quanto stiamo leggendo osserviamo con attenzione il titolo, la foto correlata e il sito dalla quale è presa. 
Se non conosciamo la fonte, è meglio accertarsi della notizia da fonti attendibili, che potrebbero essere siti ufficiali collegati all’argomento, quotidiani nazionali e/o canali di informazione autorevoli.
Passiamo poi al contenuto della notizia: bisogna badare bene a com’è scritto l’articolo. Notate se ci sono riferimenti a fatti precisi, a persone correlate al fatto e a luoghi specifici: maggiori sono le informazioni, maggiore è la probabilità che la notizia sia vera.
In base a queste valutazioni è possibile smascherare le fake news più diffuse online, ma è importante acquisire molta pratica con la navigazione online per capire quanto si è di fronte a teorie complottistiche o al fenomeno nascente della pseudoscienza. Le fake news infatti evolvono in vere e proprie bolle di informazioni che sfruttano le funzionalità dell’algoritmo per proporre a persone sensibili a determinate tematiche notizie molto simili con contenuti errati per facilitare la diffusione. Formarsi sull’utilizzo degli strumenti digitali e accedere al web con consapevolezza è dunque un obiettivo da perseguire a breve e lungo termine.

La Scuola di Comunicazione Gentile promuove percorsi dedicati all’educazione digitale, con particolare riferimento ai fenomeni del web come cyberbullismo, fake news e hate speech.
Partire dalla consapevolezza nell’utilizzo degli strumenti web è il più valido aiuto alla neutralizzazione di pratiche lesive della validità di piattaforme come i social network e i siti internet. Educare al web è un modo per evidenziarne le funzionalità e le opportunità con la finalità di renderlo uno strumento a supporto della formazione, dell’intrattenimento e dell’informazione, e non un luogo virtuale nel quale emergono discorsi d’odio, disinformazione e pratiche discriminatorie.